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1. Le origini e i criteri della ricerca
Quest'opera si presenta come prosecuzione del progetto Bibliografia delle edizioni giuridiche antiche
in lingua italiana[1] che persegue lo scopo di registrare
tutti i testi che contengano quel particolare linguaggio tecnico che è quello giuridico.
La prosecuzione del programma (dopo la Bibliografia. Testi statutari e dottrinali) riguarda la legislazione
principesca (la legislazione occasionale, emanata in base alle esigenze del momento), in particolare la milanese[2],
iniziando con quella emanata dai Conservatori della
Sanità dello Stato di Milano anche per seguire la tendenza dell'Idg a svolgere ricerche sull'ambiente e la salute.
Il collegamento con la Bibliografia
non si pone come meramente nominale: i criteri[3] che informano quella sono gli
stessi qui seguiti e di conseguenza gli
stessi sono i limiti. Sono esclusi perciò i documenti non giuridici[4], quelli manoscritti e quelli che non sono in lingua italiana
(nel nostro caso quelli in latino e in spagnolo). |
2. La raccolta della Biblioteca Universitaria di Pavia
La raccolta su cui si è svolta la ricerca, quella della Biblioteca Universitaria di Pavia,
è una delle più importanti ed equilibrate fra le raccolte legislative riguardanti lo Stato di Milano[5].
È divisa per magistrature[6] e comprende 4456 gride e editti vari.
La parte adesso edita riguarda, come dicevo, le gride del magistrato della Sanità, o meglio, secondo la dizione ufficiale,
dei Conservatori della Sanità dello Stato di Milano, nel periodo del predominio spagnolo (1535-1706).
Le 180 gride della raccolta appartenenti a questo periodo vanno dal 1583 al 1706. Tuttavia non è una raccolta completa e
l'incompletezza si rileva facilmente da vari elementi: nessuna grida è anteriore al 1583, numerosi sono sia i rinvii,
sia le rinnovazioni di gride non presenti[7] nella raccolta.
Questa è stata la ragione per cui la ricerca dei documenti mancanti si è spinta, oltre la raccolta pavese, nelle altre
importanti raccolte presenti a Firenze[8] e a Milano[9]
allo scopo di operare un confronto, e quindi una verifica[10],
tra raccolte diverse.
Oggetto, quindi, della pubblicazione sono tutte le gride sulla sanità che si trovano nel vol. 24,
e parte del 25, della raccolta pavese che comprende non solo le 178 dei Conservatori, ma anche 1 del Governatore e 1 del Senato
(emanate in appoggio ai Conservatori in materia di sanità). Di queste viene data la descrizione bibliografica in un documento
elettronico collegato con l'immagine del testo della grida. Lo stesso criterio di selezione delle deliberazioni è stato mantenuto
per le integrazioni fatte alla raccolta: sono state accolte anche le gride di altri magistrati solo quando essi facessero riferimento
ai Conservatori e in loro sostegno, non gride in materie di competenza propria emanate in caso di epidemia.
Il corpus è formato quindi complessivamente di 698 gride dei Conservatori, 37 del Governatore,
2 del Senato. Le gride generali, data la loro importanza, hanno avuto un trattamento diverso: sono state interamente trascritte
e, rese, quindi, interrogabili: da esse sono stati tratti una tavola di frequenze e un index locorum,
avendo operato una scelta tra le parole più significative. |
3. I Conservatori della sanità: loro origine e costituzione[11]
I Conservatori della Sanità furono istituiti da Francesco II Sforza con decreto dell'11 aprile 1534[12]
(1°; 2°; 3°;
4°; 5°; 6°;
7°; 8°; 9°;
10°; 11°; 12°;
13°; 14°; 15°;
16°; 17°; 18°;
19°; 20°; 21°;
22°; 23°; 24°),
scritto in latino, e svolsero la loro attività fino al 1786, anno della loro soppressione[13],
quando la funzione di sanità rientrò tra i compiti della polizia dello Stato. Nella costituzione del 13
maggio che segue il decreto del 1534 viene detto "Quod ill.mi principes qui nos in dominio
mediolanensi praecesserunt quique oculatissimi fuere, nullas leges nullosve ordines officio sanitatis posuerint, satis s
upraque miramur nec rationem invenire possumus cur hoc omissum sit in magistratu pernecessario ...". Questa critica
ai predecessori non va intesa nel senso che nessuna disposizione sanitaria fosse stata emanata prima, ma che nessuna
regolamentazione organica della materia fosse stata mai messa in atto.
Già gli statuti municipali contenevano disposizioni tese a tutelare la popolazione dalle malattie, dalle frodi alimentari,
dalla sporcizia delle strade, evidenziando il buon livello della vita quotidiana del popolo milanese e l'attenzione ai problemi
di igiene[14]. Probabilmente la peste nera, che dopo sei secoli di assenza
ritornò dalle terre asiatiche e invase l'Europa nel 1347-51 e che eliminò quasi un quarto della popolazione europea, nonché le
successive e quasi annuali epidemie, dettero la spinta per cominciare a parlare di uffici di sanità: tali uffici ebbero in tutta
Italia inizialmente carattere di temporaneità e venivano dal sovrano istituiti solo in occasione di pestilenze. Successivamente e
gradualmente, come vedremo, si arrivò alla costituzione di uffici permanenti centralizzati nelle capitali degli Stati, di uffici
permanenti nelle città principali dello Stato, dipendenti dai primi, e di uffici non permanenti istituiti nei centri minori.
Alla fine del '300[15] a Milano, all'epoca della peste del 1399-1400,
troviamo i provvedimenti a carattere sanitario del duca Gian Galeazzo Visconti che nomina un suo vicario generale[16],
Giovanni de Roxellis, per dare disposizioni per frenare l'epidemia di peste.
Il funzionario aveva una carica temporanea ma ben definita e "alle origini deve aver avuto il compito di far eseguire gli ordini
del duca e le sentenze"[17]. Successivamente, nel corso dei primi anni
del '400, fino al 1423, questa figura di funzionario apparve e scomparve e sembra che il vuoto fosse colmato solo dall'intervento del
duca, che incaricava dell'esecuzione del suo bando, di volta in volta, il suo segretario o le varie magistrature, come il vicario di
provvisione, i XII di provvisione o altri. Dal 1423 i bandi furono emanati da un'autorità diversa dal duca, furono emanati, cioè,
dalle altre magistrature e anche dal commissario di sanità. Con Filippo Maria Visconti il commissario per la conservazione della pubblica
salute sembra essere diventato un'istituzione stabile: dal 1424 la carica di commissario di sanità pare essere diventata non più così
temporanea ed eccezionale e la sua giurisdizione venne estesa a tutto lo Stato di Milano. Mentre a Firenze e Venezia furono istituiti
organi collegiali, a Milano l'ufficio fu affidato ad una sola persona, emanazione diretta del duca, che aveva però funzioni ridotte e
che subiva le interferenze delle altre magistrature. Le gride del 1447 testimoniano che il commissario aveva avocato a sé tutte le
materie relative alla sanità, ma per tutto il '400 l'ufficio mantenne sempre, anche se non più come prima, il carattere di temporaneità
che abbiamo visto, pur essendo presente non solo a Milano ma anche nelle altre città del ducato (come a Pavia dove nel 1485 c'erano i
Commissarii presidentes super sanitate civitatis).
L'immediato predecessore della magistratura del 1534 sotto gli Sforza era stato l'Officium sanitatis
[18] con un commissario e alcuni Ducales Conservatores
Sanitatis Status Mediolani, o Deputati Sanitatis, o Conservatores
pestis, costituitoil 10 marzo 1450 da Francesco Sforza. Due di questi Conservatori erano
membri del Consiglio Segreto. Il commissario esisteva già in epoca viscontea, come abbiamo visto, ma per la prima volta questa
magistratura, sia pure ancora non stabile, divenne collegiale: ne facevano parte un fisico, un
chirurgo, un notaio, un barbiere, due uomini a cavallo, tre servi, un portatore di liste, un
carrettiere e due becchini. Nei decenni successivi doveva essersi incrementata ulteriormente, per cui Gian Galeazzo Sforza lo
ridusse a otto membri sotto la denominazione di Commissarii et officiales ad officium sanitatis
Mediolani[19].
Ma tali norme sanitarie, sia di origine statutaria sia emanate dall'autorità secondo le immediate esigenze sopravvenute,
non erano state sufficienti a creare un tessuto normativo omogeneo che garantisse una continuità nell'osservanza delle disposizioni
relative ad una certa materia; mancavano norme che fornissero l'interpretazione autentica di termini normalmente usati, ma mai ben
definiti nel loro preciso significato, o una più dettagliata spiegazione dei confini di un divieto adattato all'esigenza concreta
sopravvenuta ma non collegato con il precedente sullo stesso oggetto. Da questi bisogni ebbe origine l'erezione della Magistratura
in questione come organismo autonomo, magistratura che per più di due secoli si occupò della salute pubblica, ovviamente secondo i
metodi previsti dalla cultura medica del tempo[20].
Le Nuove costituzioni[21] di Carlo V
(promulgate il 5 ottobre del 1541) la confermano e la disciplinano sotto il titolo De officio Praefectorum
Sanitatis Dominii Mediolani (1°;
2°)[22].
Le disposizioni emanate dai Conservatori tenevano presenti tutte le diverse cause di pericolo per la salute e tenevano sotto
controllo ogni minima trasgressione: la continua rinnovazione delle gride è senza dubbio segno dell'esser le gride continuamente
disattese, ma anche dell'attenzione dell'autorità a tale inosservanza. Le Nuove costituzioni invitavano le altre magistrature,
e in particolare il Capitano di giustizia, a dare aiuto ai Conservatori in caso di bisogno[23].
Magistratura patrizia, era composta di sette[24] membri che svolgevano
la loro attività senza emolumenti, con l'eccezione del solo omaggio di sette staia di sale l'anno: il Presidente (un senatore eletto
dal Senato), i Conservatori (due questori dei magistrati camerali eletti dal Senato), due fisici (eletti dal collegio dei Medici),
l'auditore preso dal collegio dei Giuristi (per l'istruzione delle cause e nominato da tutti gli eletti), un segretario (uno dei
segretari del Senato). Si riunivano una volta la settimana, quando non vi fossero epidemie in corso: in questo caso si riunivano
ogni volta che ciò fosse necessario. La magistratura era coadiuvata da dieci funzionari, stipendiati, che costituivano un vero e
proprio ufficio, aventi proprie attribuzioni, eletti e nominati dal Magistrato e confermati dal governatore, (per avere la stabilità
dell'incarico, con l'eccezione del caso di demeriti); un cancelliere generale, tre commissari urbani[25],
un chirurgo, il cancelliere del libro dei morti[26], un usciere, due
apparitori[27], un custode del lazzaretto. Questi
impieghi erano spesso venduti ed era prassi il farsi sostituire, anche se questo era stato vietato più volte.
Si potrebbe pensare che i Conservatori fossero una magistratura secondaria, ma la loro azione di prevenzione nei momenti di emergenza rendeva la loro
attività costante con amplissimi poteri in campo legislativo e giudiziario: come le altre magistrature, anche i Conservatori
legiferavano e preparavano testi normativi, giudicavano nelle contese anche dietro ricorso di parte, condannavano, avevano una
propria polizia, bargello e sbirri, potevano confiscare beni, infliggere multe a beneficio della Sanità e le più severe pene
corporali (dalla condanna alla galera, alla frusta, ai tratti di corda, alle staffilate, alla prigione, alla berlina, fino alla
pena di morte) ed esercitare le più disparate funzioni con una preponderanza netta dell'organo sulle funzioni.
Mancando una codificazione - raccolta organica - del diritto la distinzione tra legislazione e giurisdizione era sfumata e si
mescolavano i due momenti della produzione della norma e della sua applicazione al caso concreto. La molteplicità dei poteri
favoriva l'accrescimento dell'autonomia, ma anche della discrezionalità e dell'arbitrio e da qui derivano le frequenti interferenze
con le competenze delle altre magistrature, le lacune, le sovrapposizioni: in una stessa materia legiferavano e giudicavano più
magistrature[28].
Essendo il tribunale competente per tutto lo Stato, avevano incaricati speciali in tutte le città e
terre per avere informazioni tempestive sullo stato di salute di persone ed animali, anche se spesso il magistrato si lamentava
della difficoltà di arrivare a conoscenza dei casi contagiosi per la non ottemperanza alla regola della notificazione delle morti:
i commissari foresi (forensi)[29] venivano inviati appositamente nei villaggi per avere notizie, gli
Anziani[30] delle parrocchie dovevano segnalare le morti repentine, e anche
dalle città fuori dello Stato le notizie sui sospetti d'epidemie[31], una vera e propria rete d'informazione tra gli Stati, arrivavano
mediante gli ufficiali di sanità e soprattutto mediante gli ambasciatori. I Conservatori potevano così conoscere e controllare
la situazione sanitaria di luoghi molto lontani. |
4. I Conservatori della Sanità: loro compiti
- Il principale compito della magistratura era la prevenzione delle malattie in generale, quindi si prendeva cura del
mantenimento delle condizioni igieniche in città (secondo un criterio del tutto attuale) e di conseguenza tutelava l'ambiente dove
si svolgeva la vita:
- operava a salvaguardia della sanità e freschezza dei cibi, perché la salute può essere messa in pericolo
non solo dalla peste, ma da cose putride, et fetenti, ma da vittovaglie corrotte, da frutti acerbi, o mal conditionati
[32]. C'era quindi il divieto di vendere cibi guasti o frutti acerbi e in particolare di vendere carni
guaste[33], di inquinare (come si direbbe oggi) le acque dei fossati e delle rogge con immondizia di
qualunque genere, com'è espressamente ripetuto in tutte le gride generali. Rientrava in questa salvaguardia anche la protezione
dalle sofisticazioni del cibo[34];
- ordinava la pulizia nelle case: è ribadito in tutte le gride generali l'obbligo di tenere almeno una
cisterna per raccogliere tutte le acque ed immondizie liquide della casa, da vuotare non più di due
o tre volte l'anno e l'obbligo per ciascuna casa di avere almeno un vaso di necessario. Le locande
in particolare erano soggette a controlli per verificare l'abitabilità delle loro stanze;
- ordinava la pulizia nella città[35] intesa come nettezza di strade e difesa dalle esalazioni nocive (naturalmente i due elementi si
mescolavano): c'era quindi sia il divieto di tenere o gettare immondizia, in particolare animali morti e
rudi[36] di stalla, sulle
strade[37] e davanti
alle case, di adacquare le strade anche se con acqua pulita (salvo che nella stagione secca
dell'estate) per non creare fango e putrefazione, di tenere in città stalle per gli animali, di allevare i
vermi da seta chiamati bigatti, ma anche di svolgere attività che possono corrompere l'aria con le
loro esalazioni, malsane e puzzolenti, e sporcare le acque con i loro residui: le "industriali" come tenere le
carbonere, le artigianali come quelle casearie, o riguardanti la concia delle pelli, o la
fabbricazione delle candele di sego etc., oppure alcune coltivazioni, come quella del riso[3].
Anche i venditori dovevano badare a ripulire
dove avevano sporcato e a tenere nette le sue case, corti, botteghe, i macellai erano autorizzati a
stare solo in alcune strade. Una puntuale e minuziosa regolamentazione riguardava le navazze stercorari
[39]e che, fra l'altro, dovevano
vuotare le cisterne delle case solo di notte e non dovevano tenere immondezzai in città.
Le navazze dovevano avere certe dimensioni e badare a non perdere rifiuti durante il cammino:
in questo caso il navazzaro doveva raccogliere i rifiuti con una scopa;
- anche l'igiene
personale dei lavoratori era presa in considerazione: il divieto di farli dormire in camere con più di due letti e in più di
tre persone per letto rispondeva ad esigenze di un popolo che ha raggiunto una buona qualità di vita;
- un discorso a parte è
quello della regolamentazione dei mendicanti[40]. Qui la funzione della Sanità sarebbe stata solo una
funzione di polizia se non fosse intervenuto il discorso della prevenzione dalle malattie per la popolazione.
- L'attività di prevenzione sanitaria raggiungeva l'apice al momento del sopravvenire della notizia di una malattia contagiosa
al di fuori dello Stato, ai confini o lontana da essi, per il timore del "dilatarsi" dell'epidemia nello Stato stesso.
La salvaguardia della città iniziava con una corrispondenza con gli Stati esteri volta a stabilire misure di controllo concordate
con gli Stati stessi (specialmente se la fonte dell'infezione si trovasse in Stati confinanti con quelli con cui verrà stabilito
l'accordo) e con l'interruzione del commercio[41]
con le zone sospette. I provvedimenti emanati erano perciò le sospensioni o, nel caso di massimo pericolo, i bandi. Seguivano
poi tutte quelle misure volte a limitare sia l'afflusso incontrollato di persone in città o nello Stato, sia gli
assembramenti[42] di persone, come la partecipazione per i
cittadini dello Stato a mercati o fiere nei luoghi sospetti con il conseguente loro rientro in città (perfino i pastori che
avevano portato le loro pecore al di là delle Alpi a pascolare dovevano farle sguazzare nell'acqua prima di farle rientrare):
fondamentale era l'obbligo per chi entrava in città di avere un passaporto sanitario (bollette
o fedi di sanità)[43] che doveva essere esaminato dalle autorità competenti (il timore che qualcuno potesse essere sfuggito
fece sorgere l'obbligo di notificare ogni forestiero in città); l'obbligo del passaporto ebbe come conseguenza la necessità di
porre controlli a tutte le vie di accesso alla città o allo Stato, sia terrestri che fluviali, come il costruire sbarramenti, i
rastelli[44], il mettere guardie alle porte delle città (le numerose disposizioni per la custodia delle
porte contengono una precisa normativa per i sovrintendenti alle stesse, i gentiluomini,
riguardante non solo le funzioni da espletare ma l'orario giorno per giorno con i nomi delle persone impegnate in quello e
con i turni di assistenza); il mettere divieti di transito riguardanti le vie d'acqua, laghi e fiumi, con conseguente proibizione
per i barcaioli di traghettare persone sbarcandole in luoghi privi di controllo sanitario; anche le merci in arrivo, che potevano
essere veicolo di infezione, venivano sistemate in depositi, le sostre[45]
per la quarantena. Numerose erano le disposizioni riguardanti i doveri dei sostrari e
portinari.
- Il momento successivo era quando la malattia entrava nello Stato o in città: l'attività di prevenzione dei Conservatori
si volgeva allora a salvaguardare le persone ancora sane dal contagio[46]
e soprattutto a fermare l'epidemia. Veniva allora indetta la quarantena che, fra le numerose regole, tendeva alla
segregazione[47] delle donne e dei bambini (i fanciulli,
i putti), lasciando liberi solo i capifamiglia di andare a lavorare. Le gride erano dirette a
sancire l'obbligo di notificare le malattie e le morti, per verificarne la causa, e gli obbligati erano i medici e gli Anziani
delle parrocchie. Gli ammalati venivano segregati in casa o allontanati: messi nelle capanne fatte costruire appositamente o nel
lazzaretto[48]; e così pure i familiari che avevano diviso la casa con l'appestato. La chiusura delle
case infette (con i malati e loro familiari dentro) fu la soluzione da adottare nelle grandi epidemie, quando il ricovero nel
lazzaretto (struttura stabile), o nelle capanne (strutture provvisorie), non sarebbe stato possibile per la massa ingente di malati.
Negli anni i due sistemi di controllo si andarono alternando, a volte coesistendo, sempre per l'impossibilità di avere, per le
grandi epidemie, strutture ospedaliere capaci di ospitare un enorme numero di persone. Comunque le
capanne dovettero essere un sistema che fu presto abbandonato visto che le gride che ne parlano
sono solo quelle che si riferiscono all'epidemia del 1576-1577 e probabilmente il motivo fu l'ingente mortalità dei ricoverati
per il freddo e i disagi.
Altro problema era quello delle malattie degli animali: il problema sorgeva solo per gli animali
grossi che costituivano un patrimonio per chi li possedeva; durante un'epidemia era vietata la vendita degli animali stessi ed era
stabilito un controllo sui pellami. Della scorticatura e sepoltura degli animali grossi era incaricato un ufficiale a ciò nominato,
il ciocchino[49], gli animali piccoli dovevano essere sepolti fuori città.
L'operazione connessa con la salvaguardia delle persone ancora sane in caso di epidemia era la disinfezione obbligatoria
(la purgatione[50]) di edifici, oggetti, animali e persone che potessero diffondere il contagio: i medici
raccomandavano frequenti lavaggi per le persone e la loro biancheria, le autorità mettevano lavanderie apposite dove vesti e
oggetti potessero essere bolliti o, se di valore, solo disinfettati con aceto, incenso ed altri profumi; tutto quello che non
aveva troppo valore per la persona veniva bruciato; sempre le autorità facevano esalare sostanze purificatrici dell'aria nelle
case infette che, inoltre, dovevano essere imbiancate con la calcina. |
5. La lingua delle gride milanesi
Le gride dei Conservatori sono scritte in italiano (mentre quelle del Governatore sono scritte anche in spagnolo e quelle del
Senato anche in latino): il bisogno di diffondere la conoscenza di un tipo di legge, che trovava la sua ragione in problemi di
carattere quotidiano, a tutto il popolo, obbligò fin dall'inizio ad una scelta di lingua volgare italiana quando ancora gli statuti e
rano scritti in latino, o almeno in doppia lingua, e quando si cominciavano appena a tradurre le
Istituzioni[51] di Giustiniano. Il predominio
dell'italiano[52] sul latino in questo settore è pienamente comprensibile: i banditori che affiggevano i bandi
ai cantoni delle strade dopo averle "gridate", non avrebbero potuto svolgere la loro funzione se il bando fosse stato scritto in
una lingua incomprensibile ai destinatari della grida. A Milano la lingua italiana col suo tecnicismo aveva già al tempo delle
Nuove costituzioni scritte in latino conquistato il campo del diritto:
ut vulgo dicitur[53] si diceva con
frequenza, latinizzando poi l'espressione volgare e dandole perciò dignità di lingua del diritto. Quest'intrusione di
parole e costrutti volgari era giustificata qui, sempre per il motivo che il linguaggio del legislatore doveva essere comprensibile
non solo agli operatori del diritto ma anche ai destinatari del diritto stesso e preparava nel tempo stesso un futuro e notevole
arricchimento della lingua giuridica italiana: come le parole di una lingua non preesistono ma vengono create con l'uso, così
anche la lingua giuridica trova nel caso concreto la fonte della sua esistenza. Per le gride si può osservare che il linguaggio
non è quasi mai tecnico: è un linguaggio semplice, facile alla comprensione, atto ad essere recepito da tutti, descrittivo di
situazioni e accadimenti, pieno di comandi o proibizioni che erano in stretta relazione con quelle situazioni e accadimenti.
D'altra parte la loro lingua non va confusa con quella del giurista, tesa al ragionare sopra la norma per interpretarla, e
neppure con quella di testi normativi in latino come le Nuove costituzioni: lì si definiscono magistrature ed
istituti giuridici, qui si danno ordini derivanti da esigenze prodotte da situazioni concrete. La lingua giuridica legislativa
contiene sempre moltissimi termini appartenenti al lessico comune, ma qui, in questo tipo di legislazione, la caratteristica
si accentua, anche se talvolta si può notare un bisogno di fare chiarezza sul significato di certe parole della grida stessa e si
procede alla loro interpretazione autentica. L'elemento della formalità propria dell'atto legislativo le dà i connotati della
giuridicità[54] per noi legata o alla formalità dell'atto (come in questo caso) o al
suo articolarsi in proposizioni e costrutti sintattici contenenti un linguaggio giuridico che può essere definito peculiare
del diritto stesso e perciò tecnico. Fra l'altro il linguaggio delle gride estremamente conservativo (come si può notare
guardando le frequenze delle parole) dipende anche dalle frequentissime rinnovazioni, che non erano nient'altro che la
ripubblicazione esatta del testo della grida rinnovata.
Un discorso a parte potrebbe essere forse fatto per il linguaggio delle
gride generali, atti che venivano emanati non per risolvere situazioni contingenti ma per essere globalmente organizzativi di un
modo di comportarsi, e quindi di vivere, nell'ottica della prevenzione delle malattie in genere, avendo come obiettivo la
conservazione della salute della società. Nelle gride generali non sono disposti solo ordini, ma si scende all'elencazione minuziosa
delle categorie a cui gli ordini sono diretti, alla specificazione delle responsabilità penali di ogni contravventore e alla
chiarificazione di come potesse essere organizzata dal punto di vista igienico la vita stessa cittadina. Il linguaggio, quindi,
nella grida generale è più tecnico dovendosi, per esempio, prevedere nell'atto legislativo diritti di azione e responsabilità nei
confronti di terzi, come dicevamo, o obblighi tra privati derivanti da servitù, o addirittura possibilità di concorso tra fonti
normative diverse, stabilendo in un qualche modo un ordine gerarchico tra esse.
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6. La tipologia dei documenti legislativi
Con la decadenza dell'Impero e il nascere dei Principati, quasi stati regionali, le legislazioni si fanno più organiche.
Il diritto comune e gli statuti locali diventano fonti subordinate rispetto a quelle emanate dal principe o dalle sue magistrature.
Nello Stato di Milano gli organi, come dicevamo, avevano potestà normativa e giudicante loro attribuite per un numero molteplice
di casi, a tempo indeterminato e per le materie di loro competenza. La potestà normativa degli organi era subordinata gerarchicamente
a quella del Governatore[55] (che legiferava per il sovrano) in due sensi: le norme emanate dagli organi
erano, in certo qual modo, emanate anch'esse dal Governatore, essendo gli organi a lui subordinati; ovviamente i provvedimenti
emessi direttamente dal Governatore stesso erano superiori a quelli degli organi.
Al suo interno l'organo può apportare
modifiche e cambiamenti alle norme relative alle questioni di sua competenza, con i limiti già accennati in quanto esercitando
gli organi funzioni diverse si trovavano spesso a legiferare o giudicare sulla stessa materia. Una magistratura (per esempio,
i Conservatori della Sanità) a volte emanava provvedimenti a carattere generale, spesso comprensivi di più materie di competenza
della magistratura disciplinanti l'intera materia: ciò rispondeva alla tendenza di riunire la normativa della
magistratura in un corpo unico, sia pure solo relativo ad un certo oggetto (la grida generale di cui sopra).
Ciò premesso, si può dire che le fonti di cognizione relative all'attività normativa della magistratura in esame prendono diversi
nomi e il dubbio è se si possa dire che vi sia una sorta di specializzazione nei vari tipi di deliberazione, se, almeno nell'ambito
di una magistratura, vi siano provvedimenti su una stessa materia, o aventi la stessa forza cogente, o altro, che siano sempre
chiamati nello stesso modo; il dubbio insomma è se ci sia una tipologia che faccia corrispondere allo stesso nome provvedimenti
sostanzialmente uguali o se, al contrario, non vi sia specializzazione nei vari generi di deliberazioni e quindi si possa dire
che le denominazioni sono intercambiabili. Come dice l'Aliani, quando un organo disciplina materie di sua competenza si può pensare
che differenzierà i provvedimenti operando una differenziazione di denominazione a seconda del genere di normatività del
provvedimento o a seconda delle materie trattate, in base ad un'analogia fra documenti dello stesso tipo anche se non in base
a norme di diritto[56]. Quindi bisogna partire dal presupposto che la sensazione di intercambiabilità non corrisponda al
vero e che con un po' di attenzione si debba poter distinguere un provvedimento da un altro, anche se non in modo molto rigoroso.
I Conservatori emanano gride, editti, bandi, proibizioni, ordini, istruzioni e
regole; vi sono, poi, altre disposizioni che non hanno un nome nel titolo ma che si intitolano con parole che corrispondono
in realtà al contenuto del provvedimento, come bando (nel senso di "messa al bando"), sospensione,
liberazione, restituzione, o che si pongono come riferimento ad un provvedimento precedente, come revoca
e rinnovazione. La grida[57]
è il provvedimento più usato come genere, che non si
differenziava in niente dall'editto se non nella forza psicologicamente più cogente di quest'ultimo (spesso una grida,
così intitolata, viene chiamata "editto" nel testo). Ambedue contenevano, prevalentemente, ordini (comandano che niuno ...)
o concessioni, comminavano sanzioni e si rivolgevano ad una pluralità di persone destinatarie dell'atto abbastanza generiche, come
a coloro che esercitavano un commercio e volevano transitare da uno Stato all'altro, o, al contrario, a coloro che appartenevano
ad una categoria, come gli osti e gli albergatori ed anche i mendicanti. Solo dopo aver espresso il comando, in ambedue si passava
a vietare questa e quell'altra cosa. A volte la grida (chiamata in questo caso "dichiarazione") veniva emessa per interpretare, o
chiarire meglio, gride precedenti, specificandone i vari aspetti che potevano essere rimasti oscuri
[58].
I provvedimenti generali che riassumevano l'intera materia erano solo le gride chiamate
generali: la grida in definitiva era il provvedimento che aveva il più ampio raggio di destinatari. Comunque erano
chiamate "generali" anche gride che non lo erano, ma a cui si rinviava così chiamandole. In realtà , come dicevamo, la grida
generale nasceva da esigenze diverse: mentre la grida "semplice" doveva rispondere ad un'esigenza immediata, quella
generale era una legge che provvedeva al riordino della materia di competenza del magistrato e, nel caso della sanità,
tendeva a disporre condizioni di vita igienicamente valide, atte a prevenire future malattie.
Il bando è una
denominazione equivoca: spesso era usata come "messa al bando" ed è quindi difficile capire quando si parlava di un atto
come di "legge bandita"[59] (e quindi
bando è il genere di quel provvedimento) o al contrario, come di un atto, non altrimenti denominato, contenente una
"messa al bando". La mancanza di chiarezza in parte proviene dal fatto che soprattutto negli atti dei Conservatori dove si
bandisce una località il provvedimento è chiamato bando ("... hanno stabilito di far pubblicare il seguente bando"). Il bando
comunque contiene essenzialmente divieti e la denominazione sembra essere stata usata soprattutto per specifiche materie come
la libera circolazione delle persone in tempo di quarantena o l'allevamento dei vermi da seta in città.Il governatore, invece,
emana spesso bandi nel senso di "proclami" in svariate occasioni in tema di sanità e in appoggio ai Conservatori: nell'archivio si
trovano 12 bandi e 23 gride del governatore (la denominazione sembra essere stata usata indifferentemente).
L'ordine,
invece, sembra essere stato un provvedimento contenente sempre un comando, ma un comando specifico, diretto a persone singole, o a
categorie precise di persone: come agli assistenti alle porte, o ai barcaioli dei laghi, o al cancelliere del libro dei morti:
esso conteneva a volte anche istruzioni. La proibizione (si parla anche di editto proibitivo) non compare
molte volte, conteneva divieti ed era usata in genere nelle sospensioni del commercio per timore del contagio.
L'istruzione e la regola, a differenza dei precedenti, sono atti che non avevano la sanzione e indicavano
i comportamenti da tenere in certe situazioni: come tenere i passaggieri in quarantena, o come provvedere alla
disinfezione delle case.Sono intitolati sospensione (o bando) quegli atti legislativi
del genere della grida o simili con cui si sospendeva il transito nello Stato di persone o merci provenienti da zone
infette (bando) o sospette (sospensione). Ci sono, poi, le revoche che prendevano
il significativo nome di revocazione, liberazione, restituzione, con cui si abrogavano gli editti
e le gride precedenti (sono esse stesse editti e gride) riguardanti una restrizione di libertà individuale o collettiva:
divieto di commercio, segregazione in casa, divieto di circolazione.
Le frequentissime rinnovazioni corrispondevano
ad un altro caso: a volte la magistratura cambiava nei suoi componenti e si ripubblicavano gride o ordini già dati in precedenza,
quando se ne era presentata una necessità che ancora persisteva, oppure la magistratura si accorgeva che gli ordini erano
disattesi anche per ignoranza delle norme da parte dei destinatari, spesso a causa della farraginosa mole di gride mai
riordinate[60] (di qui la necessità
della grida generale che riassumeva le deliberazioni che non erano soggette a cambiamento immediato). La rinnovazione era espressa
e tutto il testo veniva riprodotto, spesso integralmente, quasi fotograficamente, riportandone non solo il titolo e il testo ma
spesso anche i sottoscrittori, anche se la grida rinnovata era a sua volta la rinnovazione di un'altra grida.
Nel provvedimento si ha visivamente la storia del ripetersi di atti uguali nel contenuto e nella forma attraverso gli anni;
si può considerare, forse, rinnovazione implicita quando si richiama un'altra grida ripetendone il contenuto con le stesse
parole, o rimandandovi per alcuni aspetti del contenuto, come la sanzione. La rinnovazione di una norma non va confusa con
la sua riedizione: la rinnovazione è di per sé un nuovo atto normativo anche quando ripete pedissequamente un atto precedente
e non si presenta innovativo né nella forma, né nel linguaggio. Tra questi documenti legislativi ho trovato solo qualche
caso[61] per il quale si può parlare di riedizione: anche atti identici sullo stesso argomento e aventi
la stessa data, ma con piccole aggiunte al contenuto, sono a mio avviso da considerare atti normativi autonomi.
Il corpus dei documenti contiene anche atti inerenti alla funzione giudicante dell'organo, che si pronuncia
su ricorso di parte.
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7. La struttura delle gride
La grida milanese emanata dalla magistratura dei Conservatori della Sanità (qui uso la denominazione "grida" come generica per tutti
gli atti legislativi emanati) si presenta di solito come foglio volante, salvo i casi delle gride generali composte da più pagine e
rispondenti, come dicevamo, ad un'esigenza diversa. Porta in alto lo stemma del sovrano, che indica l'autorità che ha emanato il
provvedimento, e si compone di un titolo e del testo; quest'ultimo a sua volta si compone di un preambolo, di una parte centrale
che contiene il contenuto giuridico della grida, e di una parte finale. Il testo è sottoscritto dal Presidente dei Conservatori
(a sinistra) e dal cancelliere del magistrato (a destra). La data di emanazione (luogo, mese, anno) si può vedere scritta in alto,
prima del testo, o alla fine di esso. Il foglio ha in fondo le note tipografiche (luogo di stampa, stampatore, data di stampa)
separate dal testo da una linea. Il titolo della grida, quando vi sia, riassume in parte il contenuto di essa, affermando
subito il tipo di atto usato e i destinatari del provvedimento (Grida toccante a scrocchi, vagabondi,
mendicanti, et loro
ospitanti); a volte il titolo manca e al suo posto c'è il nome della magistratura, o semplicemente il tipo di atto usato
(editto, decreto, grida), o solo i
destinatari dell'atto (Alli signori deputati alla sopr'intendenza della custodia di Porta Ticinese), s
empre in caratteri evidenziati.Nel preambolo la magistratura dà conto delle motivazioni - di fatto e di diritto - che hanno
condotto all'emanazione del provvedimento. A volte lamenta l'essere stati i provvedimenti sulla questione troppo disattesi nel
passato, a volte si rallegra con la città per il diminuito o passato pericolo del contagio dentro la città o fuori di essa, a
volte dà conto di notizie arrivate tramite gli ambasciatori, a volte rinnova altre gride, o parte di esse e così via, sempre
spiegando e motivando.Segue il contenuto giuridico della grida, che contiene, quindi, il precetto, cioè le disposizioni, e i
destinatari di esse, a volte anche un chiarimento del significato di alcuni termini usati nella grida. Questa parte nella grida
generale è divisa in paragrafi, mentre nel foglio volante ha solo capoversi per distinguere normative differenti. Spesso alla fine
di ogni capoverso o paragrafo è esposta la pena comminata per la trasgressione di quel singolo ordine, ripetendo la formulazione
della pena anche se la materia è la stessa ed anche se la pena è la medesima. Questo dimostra come anche le gride in foglio volante
cercassero una propria struttura tipica, malgrado il loro aspetto casuale e trascurato. Riguardo alla pena c'è sempre aggiunto che
la magistratura si riserva "l'arbitrio d'accrescere, minuire, o commutare le sudette pene, come a loro parerà". Spesso subito dopo
il preambolo (se non sono già in quello), ma talvolta anche successivamente in relazione a singoli paragrafi, c'è il rinvio a norme
precedenti richiamate in tutto o in parte. La magistratura collegiale dispone parlando variamente o in terza persona, singolare o
plurale, ("il magistrato ordina", oppure "si ordina", oppure "i Conservatori comandano") o in prima persona plurale ("comandiamo").
Nella parte finale, l'ultimo paragrafo talvolta contiene la riserva della magistratura di poter aumentare o diminuire le pene a
sua discrezione, un ordine di affissione e la dichiarazione "che le copie di questa grida stampate in Milano per lo stampatore di
questo officio habbino forza e vigore come autenticate e che il presente atto abbia vigore anche se non venisse più rinnovato".
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8. Conclusioni
Il progetto che mira alla pubblicazione della legislazione preunitaria, iniziato qui con le gride della Sanità dello Stato di Milano
del periodo della dominazione spagnola, proseguirà con la pubblicazione delle gride di Sanità del periodo della dominazione austriaca
e delle gride di tutte le magistrature milanesi presenti nella raccolta di Pavia. Per questo doveva essere pensata una soluzione atta
a rendere quella massa di deliberazioni consultabile, e quindi conoscibile, dallo studioso che si fosse avvicinato ad esse. Si è
già accennato alla difficoltà di gestione di un materiale normativo ampio e disperso anche al tempo della sua emanazione: oggi le
numerose raccolte "fattizie" che si trovano negli archivi e nelle biblioteche rendono la consultabilità di quel materiale ancora
più difficile data la dislocazione casuale delle gride in questa o quella biblioteca e non sempre situata nella propria città. L
a raccolta pavese ha il merito di avere le deliberazioni divise cronologicamente nell'ambito delle singole magistrature e questo
ha costituito un punto di partenza interessante: la politica governativa su una certa materia, l'eventuale sviluppo di essa e in
quale direzione, l'individuazione delle materie stesse trattate, possono infatti essere già rilevati da un esame di questo solo
corpus, anche prima di una sua integrazione con altre raccolte. Ma le soluzioni per rendere realmente conoscibile
questo ampio materiale legislativo potevano in ipotesi essere solo tre: una bibliografia a stampa (documento bibliografico con
regesto della legge) che rinviasse, tramite la collocazione, al documento stesso. Questa soluzione avrebbe avuto come elemento
positivo la possibilità di avere in mano un libro, come elemento negativo la necessità di spostamenti tra una biblioteca e l'altra
per consultare i documenti, o la lunga permanenza in una biblioteca per poterli studiare. La seconda ipotesi poteva essere quella
di operare una trascrizione di tutte le migliaia di documnti legislativi, soluzione umanamente ed economicamente impensabile.
La terza ipotesi è quella qui adottata: allegare al documento bibliografico l'immagine del testo della legge e rendere il documento
automaticamente richiamabile. Questa soluzione prevede necessariamente la creazione di un archivio elettronico da rendere
interrogabile tramite idonei programmi, la costituzione cioè di documenti bibliografici elettronici collegati all'immagine,
perfettamente leggibile, del testo della grida stessa. Ritengo che sia indubbia per lo storico la validità della scelta fatta,
perché è indubbia l'utilità di poter consultare un archivio elettronico che mette a disposizione dello studioso una banca-dati che
non invecchia in quanto sempre integrabile - che rimane, perciò, sempre attuale - e che gli permette di spaziare in ambiti diversi
trovando i collegamenti voluti, in contrapposizione alla difficoltà della consultazione del documento originale. Con questo CD-Rom
si vuol proporre un possibile modello di pubblicazione on-line degli atti legislativi del periodo preunitario, per troppo
tempo ignorati.
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Note:
[1]Sono già stati pubblicati a stampa (Firenze, Olschki, 1978-1993) i 4 tomi in 8 volumi
della Bibliografia. Testi statutari e dottrinali dal 1470 al 1800 (Bibliografia cronologica,
a cura di T. Bigazzi Martini, M. Caso Chimenti, F. Giovannelli Onida, M. C. Vigni Pecchioli, + Indici,
a cura delle stesse e di L. Papini). Su CD-Rom la Bibliografia è uscita interamente rivista, ampliata con nuovi documenti,
corredata di immagini e di un Lemmario, a cura di F. Giovannelli Onida, nel 1999 (Napoli, ESI).
[2]Per uno studio più completo sulla legislazione principesca milanese e
per le numerose edizioni di gridari possedute a Firenze e altrove cfr. P. Del Giudice, Storia del diritto italiano,
Milano, U. Hoepli, 1923-27 (rist. anast. Francoforte-Firenze, 1969), vol. II, p. 28 ed anche la Bibliografia delle edizioni
giuridiche antiche cit. Questo fatto di raccogliere in edizioni a stampa la massa di gride emanate dai governatori e
dalle magistrature rispondeva all'esigenza di riunire, di riordinare per quanto possibile, una legislazione altrimenti frammentaria
e irrecuperabile, affidata solo alla memoria dei giuristi e dei cittadini. Molto utili per la ricostruzione del materiale normativo
sono anche le opere di autori coevi, a volte medici, a volte letterati o uomini politici, che, scrivendo sulla peste,
hanno riportato, a volte integralmente e copiosamente, editti, gride, istruzioni. Cfr. fra questi G. F. Besta,
Vera narratione del successo della peste, Milano, P. G. e P. Pontij, 1578 (ristampato nel 1586 e nel 1630),
A. Centorio degli Ortensi, I cinque libri degl'avvertimenti, ordini, gride, et editti, fatti et osservati in Milano
ne'tempi sospettosi della peste, ne gli anni MDLXXVI e LXXVII, Vinegia, G. e G. P. Gioliti de'Ferrari, 1579 (ristampato nel 1631), A. Tadini,
Raguaglio dell'origine et giornali successi della gran peste contagiosa ... seguita dall'anno 1629 fino all'anno 1632,
Milano, F. Ghisolfi, 1648. Per le notizie generali sulla peste cfr. anche G. Bugatti, I fatti di Milano al contrasto della peste,
over pestifero contagio. Dal primo d'agosto 1576 fino a l'ultimo dell'anno 1577, Milano, P. G. e P. Pontij [ed. Pietr'Antonio Leveno], 1578 e
. Bisciola, Relatione verissima del progresso della peste di Milano. Qual principiò nel
mese d'agosto 1576 e seguì fino al mese di maggio 1577, Ancona-Bologna, A. Benacci, 1577 (ristampata nel 1630).
[3]Per una più dettagliata
esposizione e chiarimento dei criteri che prevedono l'accoglimento nella Bibliografia di opere in quanto
siano edizioni, quindi opere a stampa, che presentino l'elemento essenziale della "giuridicità",
che siano totalmente o parzialmente scritte in lingua italiana e che siano edizioni antiche
(stampate entro l'anno 1800) vedi l'Introduzione alla Bibliografia cit. a stampa di E. Spagnesi o le
Considerazioni e note sulla Bibliografia sul CD-Rom cit. di F. Giovannelli Onida. Nel nostro caso un'eccezione al
criterio di registrare solo edizioni, è stata fatta inserendo nell'archivio gli atti legislativi riportati nel volume del
Centorio sopra citato: i documenti erano stati riportati integralmente e si è ritenuto che potessero colmare alcune lacune
del nostro corpus.
[4]Come taluni
racconti sui grandissimi miracoli avvenuti per questa o quella pestilenza, come i sonetti di ringraziamento per la fine
della malattia, come i consigli contro la peste (quando non fossero emanati dai Conservatori e avessero quindi l'impronta
della formalità legislativa) etc.
[5]Per una puntuale descrizione della raccolta rinvio all'immagine del testo che ci è
stato gentilmente inviato dalla dott.ssa Annamaria Stella, direttrice della Biblioteca Universitaria di Pavia.
(Cliccare sull'icona. Per la raccolta cfr. anche P. Del Giudice, Op. cit., loc. cit.
[6]La divisione per magistrature non corrisponde né ad una
ripartizione sistematica secondo i poteri dello Stato né ad una divisione per materie, come diremo più avanti.
[7]Le gride mancanti nella raccolta,
almeno per quanto risulta dalle rinnovazioni e dai rinvii, sono 32. Inoltre, come dicevamo, la prima grida sulla sanità è
solo del 1583: non c'è nessuna grida precedente, neanche quelle del 1576-77 emanate per la famosa peste detta di S. Carlo.
[8]Un discorso a parte meritano i 7 grossi bellissimi
volumi rilegati in pelle con borchie della raccolta dell'Archivio di Stato di Firenze, probabilmente della fine del '700.
In ordine cronologico per data di emanazione e alfabetico per località sono stati incollati sulle pagine i bandi degli ufficiali
di sanità di quasi tutti gli stati italiani: il primo bando è del 1589, l'ultimo del 1763 (in particolare per Milano:
6 novembre 1592-22 ottobre 1759). Ogni volume è fornito di un accurato indice manoscritto e di numerazione manoscritta
delle pagine.
[9]A Milano sono state spogliate le principali raccolte della Biblioteca Nazionale Braidense,
della Biblioteca Ambrosiana, dell'Archivio di Stato e dell'Archivio Storico Civico, anche presenti in microfilm presso l'Istituto
di storia del diritto italiano della Facoltà di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano.
[10]La verifica, e quindi la successiva
necessaria integrazione, ha bensì prodotto il risultato di aver colmato molte delle lacune che emergevano dalle 180 gride
della raccolta pavese, ma nel tempo stesso ne ha evidenziato altre: attualmente su 737 documenti ci sono più di 70 gride mancanti.
Inoltre nessuna grida è stata trovata precedente al 1576: risultano solo due rinvii a due gride del 1575.
[11]Le notizie che si trovano in questo paragrafo sono date allo scopo
di brevemente illustrare, per chi già non lo sapesse, l'origine della magistratura in questione.
[12]L'immagine del testo dell'atto di erezione del Magistrato
(La erettione del magistrato di Sanità di Milano) può essere visualizzato cliccando sull'icona.
[13]Con lettera del 21 novembre 1786 i Conservatori prendono atto della abolizione del
Magistrato di Sanità di Milano: vedi il documento in A. Visconti, Il Magistrato di Sanità nello Stato
di Lombardia, Milano, L. F. Cogliati, 1911, estratto dall'Archivio storico lombardo, a. 38,
fasc. 30, (1911), p. 23.
[14]Senza dubbio l'Italia era all'avanguardia fra tutti i paesi europei: per fare
qualche esempio, in Svizzera, a Losanna, solo nel '600 viene documentata la presenza di Conservateurs de
la Santé, in Inghilterra tra la metà e la fine del '500 i Tudor introdussero misure sanitarie ricalcate sul modello italiano.
Cfr. C. M. Cipolla, Origine e sviluppo degli uffici di sanità in Italia, in
Annales cisalpines d'histoire sociale, serie I, n. 4, (1973), p. 89.
[15]Per un excursus sui
predecessori del Magistrato di Sanità dello Stato di Milano in epoca viscontea cfr. A. Pasi Testa, Alle
origini dell'Ufficio di Sanità nel Ducato di Milano e Principato di Pavia, in Archivio storico
lombardo, 1976 (1977), anno CII, serie X, vol. II, pp. 276-386; G. Albini,
Guerra, fame, peste. Crisi di mortalità e sistema sanitario nella Lombardia tardo medioevale,
Bologna, L. Cappelli, 1982; A. F. La Cava, Igiene e sanità negli statuti di Milano del sec. XIV.
Codice inedito, Milano, U. Hoepli, 1945.
[16]Il commissarius specialiter electus pro conservatione
sanitatis duchatus Mediolani. Cfr. C. M. Cipolla, Origine cit., p. 86.
[17]Cfr. C. Santoro, Gli offici del
Comune di Milano e del dominio Visconteo Sforzesco (1216-1515), Milano, Giuffrè, 1968, p. 103.
[18]Le scritture di questo magistrato anteriori al 1502 andarono bruciate in un incendio
del luogo dove si trovavano, in Campo Santo, in quello stesso anno: le notizie sull'attività dei Conservatori e sui loro compiti sono
quindi frammentarie.
[19]Cfr. C. Santoro, Gli offici del Comune di
Milano cit., p. 225 e ss.
[20]Illustri medici, come Lodovico
Settala a Milano, attribuivano le malattie ad una alterazione degli umori del corpo, favorita dalla putredine dell'aria e dell'acqua,
dai tanto temuti miasmi emananti da oggetti in putrefazione, dalle vivande e cibi malsani; le infezioni si trasmettevano per contatto
tra le persone, o attraverso oggetti e panni infetti, o attraverso l'aria stessa dove vivevano i malati. Questa emanazione perniciosa
era composta di particelle provenienti da corpi putrefatti o malati e spargendosi nell'aria era capace di infettare i corpi degli
uomini o degli animali e causare le epidemie. Il famoso medico Girolamo Fracastoro (De contagione et
contagiosis morbis et curatione, Venetiis, 1514, p. 32 e ss.) introduce una nuova teoria, quella dei
contagionum seminaria, piccolissime particelle invisibili (i germi?) che si propagano alle persone
sane dal contatto col malato o con oggetti esterni infetti, come le stoffe. L'origine microbica, dimostrata nel 1873, delle malattie
non era ancora stata scoperta, ma quasi la si intuiva. Ricordiamo che già in epoca romana Marco Terenzio Varrone nel suo
Dell'agricoltura, (Venezia, A. Curti, Tip. Pepoliana, 1795, vol. I, p. 254)
trattando delle febbri palustri e dei luoghi dove non è bene edificare una villa, diceva che nelle paludi
crescunt animalia quae non possunt oculis consequi et per aera intus in corpus per os et nares perveniunt atque efficiunt difficiles
morbos. Comunque dal '500 la medicina cominciò ad avere un approccio scientifico con le malattie ricercandone le cause
concrete che le producevano e i mezzi necessari ad evitare il contagio: si cominciarono a studiare le infezioni separando la medicina
dalla trascendenza medievale e dall'astrologia, anche se ancora S. Carlo Borromeo, nemico di ogni superstizione, era così convinto
che la causa della peste fosse il castigo di Dio, da obbligare la preghiera per sette volte al giorno indicendo processioni
estremamente pericolose per il contagio. Fra gli altri anche il medico palermitano Giovanni Filippo Ingrassia nel suo trattato
sulla peste (Informatione del pestifero morbo il quale affligge et have afflitto questa città di
Palermo, Palermo, G. M. Mayda, 1576, p. 10 e ss) ipotizza un castigo divino come causa dell'epidemia. Sull'argomento cfr.
anche R. Canosa, Tempo di peste, magistrati e untori nel 1630 a Milano, [Roma], Sapere 2000, 1985.
[21]Le Constitutiones
Dominii Mediolanensi, correntemente chiamate Nuove costituzioni, stabilivano le attribuzioni
di ciascuna magistratura e si applicavano a tutto lo Stato di Milano. La compilazione generale delle leggi fu iniziata da Francesco
II Sforza e continuò, dopo la sua morte, sotto il regno di Carlo V succedutogli.
[22]La costituzione (dalle Constitutiones dominii Mediolanensis,
Mediolani, V. et H. Metios, 1552, l. I, cc. 22-23), dall'icona richiamabile come immagine, inizia:
Singulo anno ante festa natalitia per senatum eligantur singuli ex singulis magistratibus reddituum
scilicet ordinariorum, extraordinariorum et annonae, collateralis unus et a collegio Medicorum urbis Mediolani, medici duo, quibus
Senator praesit a senatu pariter eligendus; et cum his, quotiescumque opportunum fuerit, protophisicus interveniat, habeatque
causarum auditorem unum ex Mediolanensi collegio iurisconsultorum, ab eis praefectis eligendum.
[23]Severius enim agendum est ad ea facinora comprimenda, quae non
solum oppido, aut civitati perniciem parere, sed universae provinciae, et humano generi, exitium afferre possunt et omnes
officiales, et iusdicentes, et presertim Capitaneus Iusticiae, eis in praedictis parere habeat, et omni auxilio, et favore vocati
praesto adesse, et mandata exequi.
[24]In origine erano otto, poi con l'abolizione del Magistrato dell'annona del 1563, il numero
dei Conservatori diventò definitivamente di sette (Vedi il testo della costituzione alla nota 22).
[25]Avevano il compito di occuparsi dello spurgo di latrine e cloache e uno di loro di
provvedere a tenere pulite le strade.
[26]Lo "scriba nominum defunctorum" redigeva dei veri e propri atti di morte.
[27]Erano impiegati subalterni al servizio dei magistrati. Il Manzoni
(I promessi sposi, cap. XXXII) li definisce come quelli che precedevano "i carri, avvertendo,
col suono d'un campanello, i passeggieri, che si ritirassero".
[28]Sarà interessante vedere se il mezzo informatico potrà aiutare a
distinguere funzioni e competenze nell'ambito di una magistratura, rendendo reperibili i documenti sia in senso orizzontale,
secondo la magistratura emanante,sia in senso verticale, secondo la funzione esercitata dalla magistratura in quel caso.
[29]I commissari che si occupavano dei centri del contado.
[30]Già in documenti dell'inizio del '400, sotto Gian Galeazzo Visconti, fu agli
Anziani attribuito il compito di informare quotidianamente la Sanità dei casi di peste, o delle morti improvvise, che si fossero
manifestati nelle loro parrocchie. Dopo la costituzione del magistrato di Sanità, non divennero funzionari, ma erano eletti in ogni
parrocchia col titolo di Anziani e come ricompensa per le mansioni svolte avevano l'esenzione dalle tasse delle loro botteghe. Per
le incombenze loro assegnate dai vari tribunali, ma soprattutto da quello della Sanità, cfr. A. Visconti,
Il magistrato cit., p. 17-18.
[31]Le cognizioni alquanto
imprecise in fatto di malattie non permettevano sottili distinzioni e quindi sotto il nome generico di
peste venivano annoverate tutte le malattie contagioso-epidemiche come il vaiolo, la febbre
petecchiale e altre ancora, ossia tutte quelle malattie che producevano una ampia mortalità in una massa di popolazione. Cfr. s
ull'argomento G. Ferrario, Statistica medica di Milano dal sec. XV fino ai nostri giorni, Milano,
Guglielmini e Redaelli, 1838-1846, vol. II, fasc. I, p. 44. Oltre a peste, trovo nei documenti solo
le dizioni di febbri, mal contagioso,
infezione contagiosa, male epidemico,
pestifero morbo, febbri maligne con petecchie
(forse tifo petecchiale?), polmonera (oggi la pleuropolmonite essudativa dei bovini), e simili.
Per esempio, la malattia più facilmente identificata fu la peste bubbonica, mentre quella polmonare spesso non era riconosciuta
come tale; comunque furono di peste bubbonica le due epidemie del 1576 e del 1630 visto che furono così definite dal Settala che
era presente ad entrambe. Non sono state trovate gride a stampa dell'epidemia del 1524, detta di Carlo V. Sembra quasi che in
mancanza di efficaci e differenziati medicinali che potessero curare ogni singola malattia a carattere fortemente epidemico,
la cosa più importante fosse mettere l'accento sull'elemento del contagio, sentito non solo come conseguenza dell'infezione, ma come
elemento costitutivo e caratterizzante dell'infezione stessa. Le località più esposte al contagio erano quelle lungo le vie fluviali
e soprattutto sul mare, poiché la peste veniva dai paesi d'Oltremare: veicoli della peste erano le pulci dei topi imbarcati
sulle navi che raggiungevano i porti dell'Europa. Fra l'altro in Lombardia la peste si confondeva con altre malattie quali il
"flusso di sangue" e "il fuoco di S. Antonio". Cfr. G. Albini, Guerra cit., p. 16 ed anche per
una puntuale descrizione di sintomi di malattie a carattere epidemico, A. Corradi, Annali delle epidemie
occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, Bologna, Gamberini e Parmeggiani,
1865-1894, voll. 8 in 5 tomi.
[32]Vedi la Grida generale dell'8 agosto 1583.
[33]Il controllo sulla freschezza delle carni spettava anche alla Magistratura delle
vettovaglie.
[34]Vedi la grida del 29 maggio 1668 in cui si vietava la vendita
di bevande e tabacco fabricate con fraude e in cui si ordinava ai
venditori dei prodotti di assumer le debite informazioni per la loro corretta fabbricazione.
[35]Sì come la nettezza, et i buoni odori sono di molto
giovamento ne i tempi pestiferi, così il fettore, e la immondezza sono di nuocimento incredibile (grida del 12 marzo 1577
in A. Centorio, I cinque libri cit., p. 330). Anche il Settala
(De peste et pestiferis affectibus, Mediolani, J. B. Bidellium,
1622, p. 78) ribadisce lo stesso concetto: non igitur in solum aerem causa omnis pestis referenda est,
sed in aquas etiam depravatas, et in cibos corruptos, quibus uti solent homines in magnis penuriis et in annonae caritate.
[36]rudo
(ruto), s. m. dial. letamaio, immondezzaio, unico continuatore del latino
rudus-ruderis. Cfr. S. Battaglia, Grande dizionario della lingua
italiana, Torino, 1961-1966 alla voce.
[37]Interessante notare come anche la Magistratura delle strade emanasse gride sul divieto di
gettare immondizia sulle strade: c'è da domandarsi quale tribunale giudicasse in proposito.
[38]L'interessante problema di chi fosse competente per le questioni relative alla semina del
riso lo troveremo ancora nel XVIII secolo: il Magistrato straordinario era competente per il controllo sulle distanze dai luoghi
abitati stabilite per la semina per non danneggiare la salubrità dell'aria; le contravvenzioni erano però rivendicate dal Tribunale
della Sanità. Cfr. A. Visconti, La pubblica amministrazione nello Stato Milanese durante il predominio
straniero, Milano, Athenaeum, 1913, pp. 298-299.
[39]Le navazze erano recipienti che contenevano rifiuti
organici. Il nome deriva dalla loro forma.
[40]Usualmente si parlava contemporaneamente di
scrocchi (coloro che riuscivano a vivere a spese di altri, a sbafo), di
pitocchi (coloro che simili agli scrocchi, vivevano di espedienti), di
mendicanti e di vagabondi forastieri.
La politica del governo milanese fin dal tempo dei Visconti fu di limitare l'afflusso dei ceti improduttivi che potevano, su vari
fronti, essere di disturbo e che nel caso di epidemie potevano costituire un aggravio per la spesa pubblica e un veicolo di
propagazione delle infezioni. Nel '500 la povertà non è sentita come "una calamità, che può colpire in ogni momento, o un rischio,
connesso alla condizione umana, ma il prodotto di un vizio, l'ozio". Cfr. M. Fatica, Il problema della mendicità,
Napoli, Liguori, 1992, p. 166. Le misure repressive erano infatti non contro i poveri in quanto tali e di qualunque ceto fossero,
ma contro coloro che vivevano di espedienti, che si facevano mantenere come gli scrocchi e i
pitocchi, e contro i mendicanti forastieri in contrapposizione
dei mendicanti naturali (quelli cioè che non erano di Milano e suo ducato, a meno che non vi
avessero soggiornato da almeno tre anni). I mendicanti erano una categoria precisa e accattavano solo quelli che avevano la
licenza scritta, quando fosse stata loro riconosciuta l'impossibilità di lavorare.Nella categoria dei forestieri rientravano gli
zingari. I Conservatori esercitando una funzione poliziesca miravano non solo a
difendere la salute, ma a controllare che non venissero consumate le elemosine dovute ai nativi.
(Vedi, fra le altre, la grida del 29 marzo 1660).
[41]Va ricordato che l'epidemia creava un grosso
disagio non solo dal punto di vista sanitario, ma anche sotto il profilo economico. I conti pubblici peggioravano a causa della
mancata produttività del paese per la cessazione delle attività artigianali, della distruzione di capitali, delle nuove spese
derivanti proprio dalla situazione di emergenza: costruzione di alloggi per le quarantene (le
capanne), mantenimento dei mendicanti e dei poveri, dei segregati in casa, nelle capanne,
nel lazzaretto, rifornimento di abiti, paga per il personale assoldato. Le suppellettili delle case venivano spesso bruciate,
talvolta per non causare un grosso danno al proprietario, le cose più preziose venivano risparmiate e solo disinfettate con le
fumigazioni (fuochi aromatici venivano accesi anche nelle abitazioni) o tenute all'aria. Era vietato il commercio degli oggetti
appartenuti ai malati, spesso era vietato lo scambio di merci tra paesi per il blocco sanitario delle vie di comunicazione. La
difficoltà di capire realmente come si diffondesse la malattia portava a misure restrittive molto dannose per l'economia, e quindi
per la salute. L'importanza di pulci, pidocchi e topi, veicoli essenziali in questa trasmissione, era completamente ignorata:
nessuna grida ne parla ancora nel '600, anche se il cardinale S. Carlo Borromeo, oltre alle preghiere, per la peste del 1576 aveva
ordinato una derattizzazione. L'amministrazione pubblica quindi oscillava tra il vietare il commercio e lasciarlo parzialmente
aperto, tra la paura della malattia e la paura di bloccare gli approvvigionamenti alla città, oscillava in definitiva tra la
peste e la fame. Per una illustrazione delle conseguenze economiche della peste cfr. J. L. Biraben,
Consequénces économiques des mesures sanitaires contre la peste du moyen age au 18° siècle,
in Annales cisalpines d'histoire sociale, Serie I, n. 4, (1973).
[42]Anche le processioni sarebbero state pericolose, ma spesso
l'autorità ecclesiastica otteneva il permesso di farle. Lo stesso si potrebbe dire per il passaggio di truppe, o per le
feste di carnevale non sempre vietate, o per i pellegrinaggi. Il pericolo costituito da questi ultimi fu sentito già nel
febbraio del 1400 da Gian Galeazzo Visconti che fece costruire per i pellegrini del Giubileo, provenienti da luoghi infetti
e diretti a Roma, una strada che aggirasse Milano, a 5 miglia dalla città. Cfr. G. Albini,
Guerra cit., p. 23.
[43]Le fedi di sanità, volgarmente chiamate bollette, erano
rilasciate dal Tribunale della Sanità per i cittadini di Milano, e dal personale da esso autorizzato per gli abitanti dei comuni
circostanti. Ai forestieri di passaggio che si presentavano ai posti di controllo muniti di regolare bolletta rilasciata
dal paese di provenienza non infetto, né sospetto,
veniva rilasciato un documento con l'indicazione "per transito". Conteneva le annotazioni del nome, cognome, età della
persona, segni particolari di riconoscimento; vi si annotava il modo di viaggiare della persona, se a piedi, in carrozza, a
cavallo, con servi o meno, il luogo di provenienza e quello di destinazione, con la lunghezza prevista del soggiorno. Vi si
scriveva sopra il visto di passaggio. Numerose sono le gride che mostrano quale deve essere la loro "forma". Cfr. anche A. F.
La Cava, La peste di S. Carlo, Milano, U. Hoepli, 1944, pp. 106 e ss. Fino dalla fine del '300
gli ufficiali delle bollette avevano il compito di far rispettare i bandi e di vietare l'ingresso libero nelle zone infette.
[44]Rastello (ora rastrello), s. m. dal lat.
rastrum: palizzata che circoscriveva e isolava la zona colpita da malattia infettiva.
[45]Sostra (sciostra,
ora sosta), s. f.: luogo coperto dove venivano sistemate le merci. Qualunque luogo dove si sogliono
riporre o fermare le robbe. (Vedi grida del 6 dicembre 1668).
[46]Un problema
connesso con quello della diffusione del contagio attraverso oggetti infetti è quello degli untori. Si
sparse per Milano una fama, che erano alcuni incogniti, che andavano ongendo i catenacci, e ferri delle porte delle case, di ontioni
pestifere, che ciò non procedesse da qualche furfante, che desiderasse di mantenere il male nella città, per arricchirsi delle
spoglie dei morti. (Cfr. A. Centorio, I cinque libri, cit., p. 112). L'autorità reagì alle
"unzioni", considerando la cosa più un problema di ordine pubblico (dato il terrore che la cosa generava) che un problema sanitario.
Certamente esse vi furono e non è escluso che fossero opera degli stessi monatti che, per non perdere il lavoro, cercavano di
mantenere il contagio. Comunque le congetture furono molte e i processi, in occasione della peste del 1630, moltissimi. La
condanna nel 1630 degli untori Girolamo Mora e Guglielmo Piazza è rimasta famosa e l'esecuzione si trova riprodotta in incisioni
dell'epoca. Cfr. anche [G. A. Marelli], Il processo agli untori in Milano, s.l., [1630]
e A. F. La Cava, La peste cit., p. 103 e ss.
[47]La segregazione era ritenuta l'unico valido rimedio per la difesa
dal contagio, e probabilmente era vero visto che durante l'epidemia del 1576-77 tra i pochi che non contrassero la malattia ci
furono le suore di clausura!
[48]Il lazzaretto o le capanne (baracche di legno o di paglia) erette in caso di
troppa affluenza di malati o di familiari di essi, come dicevamo prima, erano luoghi destinati a isolare i malati ma non certo
luoghi di cura: spesso i medici parlavano con i pazienti stando fuori dell'edificio, tramite qualcuno che dalla finestra descriveva
i sintomi del malato. Numerose sono le gride che si occupavano dei medici e del lazzaretto, mescolando le funzioni di salvaguardia s
anitaria e di polizia: quindi alcune sancivano l'obbligo per i medici (i fisici) di essere presenti
in città e di curare i malati (anche se questo non deve far pensare che la disposizione fosse osservata realmente, data la mancanza
comunque di rimedi efficaci e la paura del contagio), altre la sicurezza della costruzione del lazzaretto di S. Gregorio
(grida del 7 settembre 1671) contro chi toglieva pietre dalle sue fondamenta. Comunque il corretto esercizio dell'arte medica e
ra tutelato ed era punito fin dal '600 il suo esercizio abusivo. Cfr. A. Visconti, Il magistrato
cit., p. 20.
[49]Ciocchino:
forse per il molto tempo, ch'ella è stata in mano di uno così appellato.
Vedi la grida generale del 28 luglio 1583, p. 8 per i compiti dell'ufficio: con la presente
comandiamo, che nissuna persona, eccettuato Michele Beretta ... ardisca scorticare, né far scorticare animali quadrupedi.
Vedi anche la grida dell'11 dicembre 1655.
[50]La purgatione veniva fatta dai purgatori ossia dai
monatti detti brutti o netti a
seconda delle fasi del lavoro: la prima fase era quella del lavaggio della roba infetta, la seconda fase era quella di rifinitura,
dopo aver osservate le precauzioni di cambiarsi d'abito e di lavarsi le mani per non infettarla nuovamente. I compiti dei
monatti non si esaurivano qui; dice il Manzoni
(Promessi Sposi, cap. XXXII): "erano addetti ai servizi più penosi e pericolosi della
pestilenza: levar dalle case, dalle strade, dal lazzaretto, i cadaveri; condurli sui carri alle fosse, e sotterrarli; portare o
guidare al lazzaretto gl'infermi, e governarli. ... Il nome, vuole il Ripamonti che venga dal greco
monos; Gaspare Bugatti ... dal latino monere; ma insieme dubita,
con più ragione, che sia parola tedesca, per esser quegli uomini arrolati la più parte nella Svizzera e ne'Grigioni. Né sarebbe
infatti assurdo il crederlo una troncatura del vocabolo monathlich (mensuale); giacché,
nell'incertezza di quanto potesse durare il bisogno, è probabile che gli accordi non fossero che di mese in mese".
Cfr. S. Battaglia (Grande dizionario cit., alla voce)
per un'altra etimologia della parola, oltre alla già citata (da monna, scimmia).
[51]F. Sansovino, L'instituzioni imperiali del sacratissimo prencipe
Giustiniano, Venetia, B. Cesano, 1552.
[52]Un interessante sondaggio è stato compiuto su due repertori:
il Catalogo della biblioteca del Collegio degli avvocati di Firenze (a cura di G. Rocchi, Firenze, 1890-98, voll. 2),
donata alla Facoltà di giurisprudenza di Firenze e contenente un cospicuo numero di edizioni antiche, e il catalogo Antichi
testi giuridici (secoli XV-XVIII) dell'Istituto di storia del diritto italiano (a cura di G. Sapori, Milano, 1977, voll. 2).
Il sondaggio rileva la presenza a Firenze di 1180 opere di cui 96 in lingua italiana (pari all'8%) e a Milano di 1015 opere di cui
138 in lingua italiana (pari al 13%). A Milano la percentuale dei libri di legislazione in italiano cresce dal 6 al 56 e al 64 per
cento nei secoli XVI, XVII, XVIII; più precisamente 47 testi legislativi su 105 (il 44%), di cui 2 su 32 (il 6%) nel Cinquecento,
14 su 25 (il 56%) nel Seicento, 31 su 48 (il 64%) per il Settecento. Cfr. P. Fiorelli, La lingua del diritto e
dell'amministrazione in Storia della lingua, II. Scritto e parlato, Torino, Einaudi, 1994,
p. 584.
[53]Vedi, per esempio, nel lib. I, sotto il titolo
De monetis, et iudice monetarum, molte espressioni in volgare.
[54]Cfr. E. Spagnesi, Introduzione cit., p. XXXVIII; cfr.
anche M. A. Cortelazzo, Lingua e diritto in Italia. Il punto di vista dei linguisti, in La lingua del
diritto, Atti del primo convegno internazionale, Milano 5-6 ottobre 1995, Milano, 1997,
pp. 35 e ss.
[55]Le gride emanate dal Governatore scadevano alla fine del
mandato di quest'ultimo e potevano essere tacitamente (ma la cosa è controversa) o espressamente confermate dal successore,
sennonché, "non mancando mai di regola la conferma espressa o tacita, anche queste fonti minori non differivano gran fatto per la
validità loro dalle vere e proprie leggi". Cfr. P. Del Giudice, Storia cit., vol. II, p. 26, E. Besta, Grida,
in Nuovo Digesto italiano, Torino, 1937-40, alla voce, A. Visconti, Sul fondamento giuridico delle
gride dei governatori spagnoli in Lombardia (estratto dalla "Miscellanea di studi in onore di E. Verga"), Milano,
1931.
[56]Cfr. A. Aliani, I regesti del gridario della Biblioteca civica
comunale di Parma (1526-1802), Parma, Grafiche STEP, 1985, p. 14 e ss. per una distinzione in ambito parmense.
[57]La parola crida fu usata già
nel medioevo per indicare le pubblicazioni di ordini o di atti fatti per voce del banditore, perciò crida fu sinonimo
di pubblico banno. La parola fu usata sia per indicare le pubblicazioni in occasione di alienazioni di beni immobili
allo scopo di rendere i beni da alienarsi liberi da qualsiasi diritto gravante su di essi, sia, soprattutto nello
Stato di Milano ma anche a Parma e Modena, per indicare quelle norme legislative che preferibilmente venivano pubblicate tramite
banditore; in seguito fu usata per indicare le norme stesse, divenendo sinonimo di proclama, editto. Per questo
cfr. E. Besta, Grida cit., loc. cit.
[58]Vedi per esempio le gride del 9 aprile e del 28 ottobre 1576.
[59]Il vocabolo aveva una gamma di significati
molto ampia e fin dall'origine lo troviamo usato in modo multiforme. Bannum nasce come vocabolo di origine germanica,
non è usato da nessuna fonte romana e compare solo nel medioevo : è originariamente il comando, positivo o negativo, del sovrano,
ma anche la pena in caso di trasgressione (il banno regio è applicato in concorso con le pene ordinarie e nel mondo franco
consisteva in una multa). Il potere di banno era esercitato ogni qualvolta si dovevano punire comportamenti fino ad allora
non considerati illeciti (protezione a determinati soggetti deboli), o quando si verificassero particolari situazioni pericolose
per le istituzioni (falso in monete, tumulti, evasioni fiscali, atti contro il re etc.). In questi ultimi casi il potere di
banno si manifestava nell'espulsione del reo, in quella che ora si chiamerebbe la "messa al bando" e così si spiegherebbe
l'ambiguità di tali denominazioni. Secondo la dottrina di diritto comune, invece, la parola deriverebbe dal latino
bandum, il vessillo imperiale, con il significato di publica dictio, interdizione, cioè, dai pubblici uffici:
quindi nel significato sempre si oscilla tra il provvedimento, la pena e l'espulsione. Cfr. D. CAVALCA, Il bando nella prassi
e nella dottrina giuridica medievale, Milano, Giuffrè, 1978, p. 17 e ss.
[60]La massa enorme di bandi, gride, parti, terminazioni, editti
prodotti da ogni Stato italiano d'ancien régime costituiva un materiale mal gestibile anche al tempo della loro
emanazione. Pompeo Neri nel 1747 di fronte al proposito di codificazione di Pietro Leopoldo, granduca di Toscana, metteva in
rilievo come la molteplicità delle fonti rendesse problematica una unificazione normativa. Adesso possiamo aggiungere che la
stessa legislazione principesca rischiava di essere disattesa perché ignorata.
[61]Per esempio, le due edizioni del bando del governatore del 14 luglio 1630.
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